Sulle colline della Spezia, di fronte al suo magnifico Golfo, lungo la strada che congiunge Isola a Montalbano, c’è l’antico borgo di Torracca, con la piccola Chiesa di San Giacomo, un feudo dei Marchesi Oldoini con frantoio, mulino e ben 14 mezzadrie intorno. Virginia Oldoini, che lo aveva ereditato dal padre Filippo, chiamava la Villa e i terreni intorno la mia “Montagna “, la menzionava spesso nelle sue lettere e durante i suoi soggiorni spezzini vi si recava con piacere. Virginia è una donna di cui ancora non è chiaro il ruolo nell’Unità d’Italia, molti hanno cercato di sminuirne la figura tratteggiandola come una semplice cortigiana, in realtà era intelligente, spregiudicata spavalda, con una mentalità non certo consona al ruolo femminile dei suoi tempi. Gli uomini ne erano attratti irresistibilmente, uno dei suoi tanti amanti re Vittorio Emanuele II ebbe a dire di lei: “Era una giumenta araba, che bisognava tenere a freno, ma riusciva in ogni caso a buttarvi per terra”. Del resto Virginia teneva diari sui suoi amanti, che compilava con grande meticolosità giudicandone le prestazioni. Tra loro Napoleone III, Vittorio Emanuele II, Costantino Nigra, Gerolamo Bonaparte, il principe Poniatowski, il duca d’Aumale, il duca de Morny, il barone Rothschild, Ambrogio Doria, i suoi fratelli e tanti altri, avendo più relazioni contemporaneamente. Non era molto popolare fra le donne di corte, Virginia le disprezzava dall’alto della sua bellezza e personalità. Dell’Imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III, ebbe a dire: “Per nascita uguale, per bellezza la supero, per intelligenza la giudico”. L’imperatrice, dal canto suo, avvezza ai tradimenti del consorte, di lei ebbe paura tanto da fare in modo di allontanarla dalla Francia dal 1859 al 1862 e al suo rientro la storia con l’imperatore era finita. Virginia aveva una fortissima personalità e tanto carisma. Affermava che: “Ogni donna ha il dovere di essere bella, non per sé, ma per gli altri. Per sé invece deve essere ambiziosa, astuta e agguerrita”. Ambiziosa, agguerrita, astuta in sintesi il suo concetto di vita, una spregiudicatezza tale che non poteva essere compresa dalle altre donne che di fronte a lei diventavano insignificanti provocandone le ire e le invidie ma Virginia non si curava dei giudizi altrui. Dichiarò: «Io sono io e me ne vanto; non voglio niente dalle altre e per le altre. Io valgo molto più di loro. Riconosco che posso non sembrare buona, dato il mio carattere fiero, franco e libero, che mi fa essere talvolta cruda e dura. Così qualcuno mi detesta; ma ciò non mi importa non ci tengo a piacere a tutti». Aveva un’eleganza innata e amava stupire, presentandosi a feste ed eventi con tenute al limite dello scandalo come quando a un ricevimento si fece notare per un audace abito a rete con un enorme cuore sull’inguine. All’imperatrice Eugenia, che con sdegno osservò: “Un po’ troppo in basso quel cuore, Contessa” e Virginia le ribatté “A me il cuore batte ovunque”. A 18 anni arrivò a Parigi, inviatavi dal Conte di Cavour, suo cugino, con il compito di sedurre Napoleone III e legarlo ancor di più alla causa piemontese, visto che aveva cominciato i colloqui con Cavour, ma non aveva ancora assicurato apertamente il suo aiuto. Il Primo Ministro sapeva che amava le belle donne giovani e “Nicchia” era l’arma ideale, a lei si era così raccomandato: “Cercate di riuscire, cara cugina, con il mezzo che più ritenete adatto, ma riuscite”. A Parigi, dove tutti avevano cominciato a conoscerla, per anni dettò moda, imponendo ad esempio l’uso del viola in ambienti dove predominavano rosa, azzurro e verde. Virginia incapace di accettare l’inesorabile scorrere del tempo, volle immortalare la sua persona utilizzando uno dei mezzi più moderni all’epoca: la fotografia. Dal 1856 al 1895 si fece ritrarre in ben 450 foto dal fotografo Pierre- Louis Pierson con i suoi magnifici vestiti ma anche in pose uniche, a giusto titolo può essere considerata la prima modella di fotografie di moda. Lei stessa sceglieva il contesto, la posa, i costumi con cui posare, con un approccio e un senso artistico moderno e originale, famosi gli scatti che ne ritraggono gambe e piedi. Il marito, il conte Francesco Verasis che Virginia disprezzava e che da lei si era separato, tornando con il figlio Giorgio a vivere a Torino morì dopo una banale caduta da cavallo nel 1867, mentre il figlio morirà nel 1879. Virginia, ricca per le fruttuose speculazioni fatte grazie agli influenti amanti come i Rothschild, per gli appannaggi reali, dopo essere tornata a Firenze e alla Spezia si ritirò a vivere a Parigi in un appartamento in Place Vandôme, che definirà “la sua Colonna”. A Parigi rimase fino alla morte in solitudine per scelta, lei che pensava che la vita dovesse essere fatta di “15 anni di infanzia, 15 anni di giovinezza”. Negli ultimi anni fece velare gli specchi di casa per non vedere sfiorire la sua bellezza, uscendo solo di notte a passeggiare. Nel suo testamento “al contrario” diseredò tutti i suoi parenti nominando espressamente tutte le famiglie, tranne una famiglia di Genova i Tribone, forse perché non ne aveva conosciuto i componenti, e che per questo ereditarono tutto. Successivamente misero i beni all’asta permettendo alla famiglia Dall’Ara, che per loro lavorava, di acquistare la villa e i poderi. Virginia lasciò scritto che nessuno parlasse o scrivesse della sua morte, nessuno toccasse i suoi oggetti o seguisse il corteo funebre. Chiese di essere imbalsamata con i suoi cani, coperti di stoffa blu e viola, indossando la camicia da notte della “notte napoleonica” nel 1857 e al collo gioielli e perle. Nessuna di queste volontà venne rispettata. Fu sepolta nel cimitero monumentale di Père Lachaise a Parigi. Alla sua morte Governi italiani e francese fecero distruggere tutti i documenti e le lettere che aveva a Parigi, ma nessuno pensò alle casse che aveva spedito alla Spezia e che furono ritrovate decenni dopo con parte dei sui diari dove annotò: “Ho contribuito a fare l’Italia, ma dall’Italia non ho avuto nulla”. Per tutti il nome della Contessa era divenuto ingombrante, dagli archivi di Stato sparì l’intero carteggio della sua “missione” parigina, con i messaggi che Virginia aveva inviato per due anni in codice segreto, l’Unità d’Italia non poteva essere accostata ad una “Spy Story” o “Missione di letto” come l’aveva definita Cavour.

 

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